Mentre proseguono i lavori nel cantiere della prossima Legge di bilancio, un messaggio arriva forte e chiaro: la finanza pubblica e quella agevolata non viaggiano su binari separati. Si incontrano sul terreno comune della sostenibilità. Più che ambientale o produttiva, economica: la logica che guida la nuova stagione delle politiche industriali è quella dell’equilibrio tra rigore e rendimento. Un’architettura di sviluppo che vede tre poli a tracciare i lati di un triangolo: Governo, imprese e Unione Europea. E proprio lungo questi lati si sta ridefinendo la mappa degli incentivi per gli investimenti in beni strumentali che, secondo le ultime notizie, potrebbe prevedere nel 2026 un ritorno al vecchio iperammortamento di Industria 4.0.
È un triangolo, quello della sostenibilità degli incentivi. Economica, molto prima che produttiva e ambientale. Una geometria che regge sulla linea del rigore, coinvolgendo Governo, imprese e Unione Europea.
Al centro, le misure per gli investimenti dell’industria. Nella nota del MEF con i contenuti del disegno di Legge di bilancio che approderà nei prossimi giorni a Palazzo Chigi, sintetizzata al termine del Consiglio dei ministri del 14 ottobre, si delinea l’architettura che potrebbe cambiare radicalmente il piano di agevolazioni alle imprese che investono in beni strumentali. Cala il sipario sull’era dei crediti di imposta, con un ritorno nel 2026 all’iper e superammortamento fiscale. 4 sarebbero i miliardi, di provenienza nazionale, a disposizione per il ritorno a uno schema che sembrerebbe analogo a quello della vecchia Industria 4.0. Una virata che parla di prudenza di bilancio ma che rischia di far arretrare la strategia industriale italiana: meno inclusiva, meno green e meno coerente con la rotta europea.
Qui un indice degli argomenti:
Il vertice del rigore: il “metodo Giorgetti” e la disciplina dei conti
In questo triangolo, il primo spigolo è quello della finanza pubblica. Le anticipazioni sulla prossima Legge di bilancio si sono susseguite nelle ultime settimane descrivendo una manovra sobria e difensiva, delimitata dal cosiddetto “metodo Giorgetti”: conti all’osso e ritorno sotto la soglia del 3% di deficit, in un difficile esercizio di dosaggi.
Duplice l’obiettivo: rassicurare Bruxelles e mantenere la fiducia dei mercati. In questo quadro di risorse limitate, la scelta di riproporre iper e superammortamento risponde a una logica chiara: incentivi automatici, semplici e compatibili con i vincoli di bilancio.
Un compromesso che garantisce disciplina contabile, ma non necessariamente efficacia industriale: lo strumento premia chi ha imponibili fiscali capienti, escludendo chi più avrebbe bisogno di sostegno per innovare.
Il vertice produttivo: imprese in cerca di stabilità e chiarezza
Sul secondo vertice si muove il mondo produttivo, da Confindustria alle principali associazioni di categoria.
Le imprese chiedono da tempo stabilità normativa e strumenti prevedibili, condizioni indispensabili per pianificare investimenti in beni strumentali e tecnologie 4.0.
Il ritorno agli ammortamenti offre sì semplicità, ma non garantisce equità: lascia indietro le piccole imprese, quelle senza utili o con reddito catastale, come il settore agricolo.
Una misura che rischia di concentrare i vantaggi su chi è già in grado di investire, anziché ampliare la base della trasformazione digitale e sostenibile del sistema produttivo.
Il vertice europeo: il disegno del Clean Industrial Deal
Il terzo lato del triangolo si chiude a Bruxelles. Con l’approvazione, lo scorso 10 ottobre, delle conclusioni del Consiglio dell’Unione europea sugli incentivi fiscali per le tecnologie pulite e l’industria, la Commissione consolida il proprio Clean Industrial Deal: una strategia che integra politica industriale e politica fiscale.
La raccomandazione di luglio diventa ora un indirizzo operativo: stimolare la transizione green attraverso crediti d’imposta e ammortamenti accelerati tracciabili, ma legati a obiettivi di sostenibilità e riduzione delle dipendenze strategiche.
Mentre l’Europa accelera verso una politica industriale integrata e orientata al futuro, le esigenze di disciplina dei conti rischiano di tornare a spingere un modello superato, scollegato da questa visione comune.
Al centro del triangolo: incentivi come politica industriale integrata
Al centro di questo triangolo dovrebbe restare un principio: gli incentivi non sono meri strumenti fiscali, ma leve di politica industriale.
Ogni agevolazione rappresenta un investimento pubblico nell’investimento privato e, come tale, deve generare ritorni economici, produttivi e ambientali, misurabili.
Se l’obiettivo è costruire un modello di crescita sostenibile, non basta rendere gli incentivi più semplici: occorre mantenerli strategici, selettivi e orientati al futuro.
Solo così il triangolo della sostenibilità potrà reggere davvero, non come figura di equilibrio provvisorio, ma come architettura stabile per la competitività.