Tra annunci, smentite e ipotesi, il destino dei crediti d’imposta 4.0 e 5.0 si gioca nelle prossime settimane, sul filo della revisione del PNRR e della prossima Legge di bilancio. In pressing le associazioni datoriali. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy risponde promettendo uno strumento più semplice e un piano quinquennale per sostenere la doppia transizione; la stampa raccoglie le dichiarazioni e si spinge oltre, arrivando a battezzarlo. Ma la realtà dei tempi tecnici e delle risorse reperibili impone prudenza: il “cantiere incentivi 2026” è ancora in costruzione, e per le imprese l’attendismo potrebbe non essere una carta vincente.
«Ci sono miliardi oggi che non vengono utilizzati. Non usiamo la rimodulazione di quei soldi per abbassare il debito dello Stato, perché servono investimenti nel paese». Così il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, all’assemblea di Unindustria Lazio, lo scorso 7 ottobre, rivolgendosi anche al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
Con la scadenza dei crediti d’imposta Transizione 4.0 e 5.0 fissata al 31 dicembre 2025, cresce la pressione del mondo produttivo per conoscere il futuro delle agevolazioni agli investimenti. Dalle associazioni di categoria arrivano richieste di certezze e strutturalità, mentre il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, moltiplica le rassicurazioni: l’intenzione è quella di garantire continuità alla politica industriale e di introdurre un nuovo strumento «più semplice, adattabile e duraturo».
Il 4 ottobre, all’assemblea degli imprenditori di Vicenza e Verona, Urso ha promesso un piano quinquennale e un incentivo «per chi è rimasto deluso da Transizione 5.0».
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Il “credito 6.0” e le ipotesi della stampa
Nei giorni successivi, il Corriere della Sera si è spinto oltre, arrivando a battezzare il possibile nuovo incentivo come “credito d’imposta 6.0” o “5.1”. Una misura, secondo l’interpretazione fornita sul quotidiano, destinata a raccogliere l’eredità del Piano 5.0 e rilanciare la doppia transizione digitale ed ecologica.
Una suggestione, per ora, più che una certezza: il provvedimento non esiste ancora e la stessa denominazione “6.0” resta al momento un’etichetta giornalistica. Prima che di un nome, in effetti, il nuovo strumento necessita di fondi, la cui provenienza potrebbe essere determinata incrociando i cronoprogrammi della proposta di revisione del PNRR alla Commissione europea e della definizione di quella che sarà, però, una manovra «leggera».
Cosa aspettarsi dalla revisione del PNRR
Il 26 settembre, la Cabina di regia per il PNRR ha approvato la proposta di revisione del Piano (ancora da discutere con la Commissione europea) per un valore complessivo di 14 miliardi. Nel documento si prospetta che la misura Transizione 5.0 (M7C1I15) sia oggetto di rimodulazione, non di cancellazione.
Il ministro Tommaso Foti, intervenendo in Parlamento il 1° ottobre, ha confermato in merito a Transizione 5.0 che «non ci sarebbe stato bisogno della revisione di questa misura se non ci fosse stato detto dai competenti uffici che non vi era possibilità di posticipare il termine al 30 giugno 2026». In effetti, il consumo della dotazione 5.0 ha superato i 2 miliardi e sta accelerando. Industria 4.0, nei suoi primi 12 mesi di vita, aveva avuto un tiraggio di soli 850 milioni, decollando poi negli anni successivi fino a sforare ampiamente ogni previsione di spesa (il costo del credito di imposta su investimenti in beni materiali 4.0 nel triennio 2020-2022 è stato pari a 20,3 miliardi, secondo il Centro studi Confindustria). Può essere per questo che nella proposta di revisione del PNRR si richiede un rafforzamento di Transizione 4.0 (M1C2I1), misura che ha mostrato «un sovra-rendimento».
Come riportato dal quotidiano Il Sole 24 Ore, alla presentazione del Rapporto di previsione del CSC il 2 ottobre, è emersa l’intenzione di utilizzare la rimodulazione del Pnrr «per coprire investimenti fatti sul vecchio 4.0 negli anni scorsi. Le risorse nazionali che di conseguenza emergeranno saranno impiegate per la nuova agevolazione allo studio».
I tempi e i rischi del vuoto normativo
Al di là del nodo della provenienza delle risorse per il nuovo incentivo, le imprese che pianificano investimenti in beni strumentali tecnologicamente avanzati ed efficienti sotto il profilo energetico, non dovrebbero sottovalutare la questione dei tempi. Ogni passaggio da un piano all’altro — da Industria 4.0 a Transizione 4.0, da 5.0 al futuro, forse, 6.0 — ha richiesto mesi per decreti, chiarimenti e attuazione. È realistico prevedere un periodo di “terra di nessuno” all’inizio del 2026, durante il quale potrebbero complicarsi le decisioni d’investimento in attesa delle nuove regole.
Indizi di continuità: il “codice degli incentivi” e la riforma in corso
Tra i tanti interrogativi ancora aperti, non mancano segnali di un cantiere operativo fattivamente al lavoro verso la definizione di una nuova misura capace di prendere il posto dei crediti d’imposta 4.0 e 5.0.
Le dichiarazioni reiterate del ministro Urso, il fatto che il Tesoro insista sulla stabilizzazione dell’Ires premiale (misura che, di fatto, presuppone nuovi investimenti 4.0 e 5.0), la prospettiva di un codice identificativo dell’Agenzia delle Entrate per tracciare digitalmente gli investimenti agevolati 4.0 e 5.0 (introdotto nel DDL semplificazioni del 4 agosto), e poi il percorso della riforma degli incentivi, con il Codice Unico che ha già ricevuto il via libera della Commissione Bilancio alla Camera, sembrerebbero parte di una strategia coerente verso un sistema più integrato e trasparente.
Il “cantiere incentivi 2026” resta aperto
Tra annunci ministeriali, ipotesi giornalistiche e dossier tecnici, segnali convergenti e molte incognite, la sola certezza è che il “cantiere incentivi 2026” è ancora in costruzione, e per le imprese l’attendismo potrebbe non essere una carta vincente.
Meglio leggere con cautela i titoli altisonanti, sfruttare le opportunità ancora accessibili per il 2025 e seguire con attenzione le evoluzioni dei prossimi mesi.